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« Non c'è costrizione nella religione. La retta via ben si distingue dall'errore. Chi dunque rifiuta l'idolo e crede in Allah, si aggrappa all'impugnatura più salda senza rischio di cedimenti. Allah è audiente, sapiente. »

Corano, 2, 256

« Se il tuo Signore volesse, tutti coloro che sono sulla terra crederebbero. Sta a te costringerli ad essere credenti? »

Corano, 10, 99

« Nessuno può credere, se Allah non lo permette. »

Corano, 10, 100

Il termine daʿwa (دعوة) in linea di massima identifica l'azione di proselitismo dell'Islam. Il vocabolo arabo significa letteralmente "richiamo, appello, propaganda". "Invitare il prossimo all'Islam" è considerato un dovere dai musulmani, naturalmente nel rispetto della libera scelta e non imponendo ne obbligando alla fede, tantomeno con la spada. Daʿwa è talora riferito all'azione di "predicare l'Islam". Un musulmano che pratica la daʿwa, che sia o meno un "uomo di religione", è chiamato dāʿī (plurale duʿāt, دعاة).
Un dāʿī è così un uomo che invita la gente ad abbracciare l'Islam attraverso un metodo dialogico, e in certi casi può essere tradotto col termine "missionario".

Il termine è stato storicamente impiegato in ogni occasione in cui, in ambito islamico, s'intendeva far prevalere una specifica visione ideologica e politica dell'Islam. Per questo si parla normalmente di daʿwa abbaside, organizzata per abbattere il potere omayyade, a torto o a ragione giudicato dai suoi avversari come "usurpatore", ma anche e di daʿwa ismailita-fatimide per far trionfare, per converso, a partire dal X secolo, la causa di quella particolare forma di Sciismo a tutto detrimento del potere abbaside.

Del resto il sacro Corano dice chiaramente che la fede la manda Dio, quindi chi non ce l'ha e la volesse senza che Dio ie la mandasse, non riuscirebbe comunque ad averla. E chi non la volesse ma Dio la volesse per lui, ebbene lui inizierebbe a credere in Dio e ad abbracciare la fede, anche senza cercarla. Vedi Corano 10, 100.

Primo Islam[]

Nel (Corano), il termine daʿwa ha altri significati. Nella Sura XXX, indica il richiamo rivolto a un morto di risorgere dalla sua tomba nel Giorno del giudizio. Quando è usato nel Corano, in genere si riferisce a un pressante invito di Allah a vivere secondo la Sua volontà. Di conseguenza, quando usato nei primi secoli dell'Islam, progressivamente il termine tende a identificarsi col contenuto di quell'invito e diventa di conseguenza un sinonimo di sharīʿa (legge divina) e dīn (modo di vivere, religione in senso ampio). È anche impiegato per definire il dovere di "incoraggiare attivamente i fedeli musulmani a perseguire una profonda pietas in ogni aspetto della vita": una definizione che attualmente è diventata centrale nel pensiero islamico contemporaneo.[1]

Fini della daʿwa[]

Invito[]

Nella teologia islamica, il fine della daʿwa[2] è quello d'invitare la gente, musulmani e non-musulmani, ad adorare Allah come specificato nel Corano, come pure a informare l'umanità dell'azione del profeta Muhammad.[3] Se diretto a non-musulmani, tutto ciò consiste nello spiegare l'Islam attraverso azioni, dibattiti e dialogo.

Rafforzamento della Umma[]

Un altro obiettivo della daʿwa è quello di rafforzare la Comunità islamica, o Umma. A tal fine è fortemente incoraggiato essere puntuali osservanti delle disposizioni di Allah e di aumentare il livello della propria pietà islamica. Ciò comporta una precisa azione svolta nei confronti di quelle persone che vivono ai margini della fede islamica e che ne pratichino svogliatamente i rituali ma che siano disponibili e correggere questa loro tiepidezza.

Obbligatorietà al fine di evitare conflitti[]

Il ḥadīth inserito nel Sahih di Muslim [1] indica che la daʿwa è il primo dei tre passi da intraprendere per evitare un conflitto armato coi politeisti, considerati nemici irrecuperabili. L'imposizione fiscale e la violenza sono i due successivi passi previsti [2].

Note[]

  1. The Encyclopaedia of Islam, s.v. «daʿwa» (E. Tyan).
  2. Hirschkind
  3. The Encyclopaedia of Islam, cit.

Bibliografia[]

  • The Encylopedia of Islam, Leiden, E.J. Brill.
  • Charles Hirschkind, "Civic Virtue and Religious Reason: An Islamic Counter-Public", in: Jim Drobnick, Aural Cultures, 2004 ISBN 0-920397-80-8.
  • La natura molteplice della da‘wa islamica, Egdūnas Račius, Academic Dissertation, October 2004. University of Helsinki, Faculty of Arts, Institute of Asian and African Studies.

Collegamenti esterni[]

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