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Muhammad (in arabo: ﺍﺑﻮ ﺍﻟﻘﺎﺳﻢ محمد بن عبد الله بن عبد ﺍﻟﻤﻄﻠﺐ ﺍﻟﻬﺎﺷﻤﻲ , Abū l-Qāsim Muḥammad ibn ʿAbd Allāh ibn ʿAbd al-Muţţalīb al-Hāshimī; La Mecca, 570 circa – Medina, 8 giugno 632) è stato il fondatore e, per i musulmani, l'ultimo profeta dell'Islam. Considerato dai musulmani di ogni declinazione - ad eccezione degli Ahmadi - l'ultimo esponente di una lunga tradizione profetica all'interno della quale occupa una posizione di assoluto rilievo, Messaggero di Dio (Allah) e Sigillo dei profeti (Khāṭim al-anbiyāʾ), per citare solo due degli epiteti onorifici che gli sono tradizionalmente riferiti, sarebbe stato incaricato da Dio stesso - attraverso l'arcangelo Gabriele - di divulgare il suo verbo tra gli Arabi, destinato a tutti gli uomini.

Biografia

Prima della Rivelazione

Muhammad (che nella sua forma originale araba significa "il grandemente lodato")[1] nacque in un giorno imprecisato (che secondo alcune fonti tradizionali sarebbe il 20 o il 26 aprile di un anno parimenti imprecisabile, convenzionalmente fissato però al 570[2]) a Mecca, nella regione peninsulare araba del Hijaz, e morì il lunedì 13 rabīʿ I dell'anno 11 dell'Egira (equivalente all'8 giugno del 632[3]) a Medina e ivi fu sepolto, all'interno della casa in cui viveva. Sia per la data di nascita, sia per quella di morte, non c'è tuttavia alcuna certezza e quanto riportato costituisce semplicemente il parere di una maggioranza relativa, anche se sostanziosa, di tradizionisti.

La sua nascita sarebbe stata segnata, secondo alcune tradizioni, da eventi straordinari e miracolosi.[4]

Appartenente a un importante clan di mercanti, quello dei Banu Hashim, componente della più vasta tribù dei Banu Quraysh di Mecca, Muhammad era l'unico figlio di ʿAbd Allāh b. ʿAbd al-Muṭṭalib ibn Hāshim e di Āmina bint Wahb, figlia del sayyid del clan dei Banu Zuhra, anch'esso appartenente ai B. Quraysh.

Orfano fin dalla nascita del padre (morto a Yathrib al termine d'un viaggio di commercio che l'aveva portato nella palestinese Gaza), Muhammad rimase precocemente orfano anche di sua madre che, nei suoi primissimi anni, l'aveva dato a balia a Ḥalīma bt. Abī Dhuʿayb, della tribù dei Banū Saʿd b. Bakr, che effettuava piccolo nomadismo intorno a Yathrib.

Nell'Arabia preislamica già esistevano comunità monoteistiche, comprese alcune di cristiani ed ebrei.[5][6] A Mecca - dove, alla morte della madre, fu portato dal suo primo tutore, il nonno paterno ʿAbd al-Muṭṭalib ibn Hāshim, e dove poi rimase anche col secondo suo tutore, lo zio paterno Abu Tàlib - Muhammad potrebbe forse aver avuto l'occasione di entrare in contatto presto con quei ḥanīf, che il Corano vuole fossero monoteisti che non si riferivano ad alcuna religione rivelata, come si può leggere nelle sure III:67 e II:135.

Secondo una tradizione islamica, egli stesso era un ḥanīf e un discendente di Ismaele, figlio di Abramo.[7][8] La storicità di questo gruppo è comunque discussa fra gli studiosi.[9][10] Nei suoi viaggi fatti in Siria e Yemen con suo zio, Muhammad potrebbe aver preso conoscenza dell'esistenza di comunità ebraiche e cristiane[11] e dell'incontro, che sarebbe avvenuto quando Muhammad aveva 9 o 12 anni, col monaco cristiano siriano Bahīra - che avrebbe riconosciuto in un neo fra le sue scapole il segno del futuro carisma profetico - si parla già nella prima biografia (Sīra) di Muhammad, che fu curata, vario tempo dopo la morte, da Ibn Isḥāq per essere poi ripresa in forma più "pia" da Ibn Hishām.

Oltre alla madre e alla nutrice, due altre donne si presero cura di lui da bambino: Umm Ayman Baraka e Fāṭima bint Asad, moglie dello zio Abū Tālib. La prima era la schiava etiopica della madre che lo aveva allevato dopo il periodo trascorso presso con Halīma, rimanendo con lui fino a che Muhammad ne propiziò il matrimonio, dapprima con un medinese e poi col figlio adottivo Zayd. Nella tradizione islamica Umm Ayman, che generò Usama ibn Zayd, fa parte della Gente della Casa (Ahl al-Bayt) e il Profeta nutrì sempre per lei un vivo affetto, anche per essere stata una delle prime donne a credere al messaggio coranico da lui rivelato. Altrettanto importante fu l'affettuosa e presente sua zia Fāṭima bint Asad, che Muhammad amava per il suo carattere dolce, tanto da mettere il suo nome a una delle proprie figlie e per la quale il futuro profeta pregò spesso dopo la sua morte.

I numerosi viaggi intrapresi per via dell'attività mercantile familiare - dapprima con lo zio e poi come agente della ricca e colta vedova Khadīja bt. Khuwaylid - dettero a Muhammad occasione di ampliare in maniera significativa le sue conoscenze in campo religioso e sociale. Sposata nel 595 Khadìja bint Khuwàylid (che restò finché visse la sua unica moglie), egli poté dedicarsi alle sue riflessioni spirituali in modo più assiduo e, anzi, pressoché esclusivo. Khadìja fu il primo essere umano a credere nella Rivelazione di cui Muhammad era portatore e lo sostenne con forte convinzione fino alla sua morte avvenuta nel 619. A lui, in una vita di coppia senz'altro felice, dette quattro figlie - Zaynab, Ruqayya, Umm Khulthūm e Fāṭima, detta al-Zahrāʾ (tutte premorte al padre, salvo l'ultima) - oltre a due figli maschi (al-Qàsim e ʿAbd Allah) che morirono tuttavia in tenera età.

Rivelazione

Nel 610 Muhammad, affermando di operare in base a una Rivelazione ricevuta, cominciò a predicare una religione monoteista basata sul culto esclusivo di Dio, unico e indivisibile. In effetti il concetto di monoteismo era diffuso in Arabia da tempi più antichi e il nome Allah (principale nome di Dio nell'Islam,[12] che in lingua araba deriva dalla radice <ʾ-l-h>) significa semplicemente "Iddio". Gli abitanti dell'Arabia peninsulare e di Mecca - salvo pochi cristiani e zoroastriani e un assai più consistente numero di ebrei - erano per lo più dediti a culti politeistici e adoravano un gran numero di idoli. Questi dèi erano venerati anche in occasione di feste, per lo più abbinate a pellegrinaggi (in arabo: mawsim). Particolarmente rilevante era il pellegrinaggio panarabo, detto ḥajj, che si svolgeva nel mese lunare di Dhu l-Hijja ("Quello del Pellegrinaggio"). In tale occasione molti devoti arrivavano nei pressi della città, nella zona di Mina, Muzdalifa e di ʿArafa. Gli abitanti di Mecca avevano anche un loro proprio pellegrinaggio urbano (la cosiddetta ʿumra) che svolgevano nel mese di rajab in onore del dio tribale Hubal e delle altre divinità panarabe, graziosamente ospitate dai Quraysh all'interno del santuario meccano della Kaʿba.

Muhammad, come altri ḥanīf, era solito ritirarsi a meditare, secondo la tradizione islamica, in una grotta sul monte Hira vicino Mecca. Secondo tale tradizione, una notte, intorno all'anno 610, durante il mese di Ramadan, all'età di circa quarant'anni, gli apparve l'angelo Gabriele (in arabo Jibrīl o Jabrāʾīl, ossia "potenza di Dio": da "jabr", potenza, e "Allah", Dio) che lo esortò a diventare Messaggero (rasūl) di Allah con le seguenti parole:

« (1) Leggi, in nome del tuo Signore, che ha creato, (2) ha creato l'uomo da un grumo di sangue! (3) Leggi! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, (4) Colui che ha insegnato l’uso del calamo, (5) ha insegnato all'uomo quello che non sapeva[13] »

Turbato da un'esperienza così anomala, Muhammad credette di essere stato soggiogato dai jinn e quindi impazzito (majnūn, "impazzito", significa letteralmente "catturato dai jinn") tanto che, scosso da violenti tremori, cadde preda di un intenso sentimento di terrore.

Secondo la tradizione islamica Muhammad poté in quella sua prima esperienza teopatica sentire le rocce e gli alberi che gli parlavano. Preso dal panico fuggì a precipizio dalla caverna in direzione della propria abitazione e nel girarsi vide Gabriele sovrastare con le sue ali immense l'intero orizzonte (per quel "gigantismo" che caratterizza le "realtà angeliche", anche in contesti diversi da quello islamico) e lo sentì rivelargli di essere stato prescelto da Dio come suo messaggero.

Non gli fu facile accettare tale notizia ma a convincerlo della realtà di quanto accadutogli, provvide innanzi tutti la fede della moglie e, in seconda battuta, quella del cugino di lei, Waraqa ibn Nawfal, che alcuni indicano come cristiano ma che, più verosimilmente, era uno di quei monoteisti arabi (ḥanīf) che non si riferivano tuttavia a una specifica struttura religiosa organizzata.

Dopo un lungo e angosciante periodo in cui le sue esperienze non ebbero seguito (fatra), Gabriele tornò di nuovo a parlargli per trasmettergli altri versetti e questo proseguì per 23 anni, fino alla morte nel 632 di Muhammad.

È ancora oggetto di disputa la questione riguardante l'analfabetismo di Muhammad. Si nota come la sua professione di commerciante abbia potuto portarlo in contatto con altre lingue e altre culture, e come sia intervenuto, secondo una tradizione riportata da Tabari, per apportare una correzione riguardante la sua firma nel Trattato di Ḥudaybiyya. Ci sarebbe poi una lettera autografa, conservata nel museo Topkapi di Istanbul. Secondo alcuni, tutto deriverebbe da un equivoco riguardante l'espressione a lui riferita di al-Nabī al-ummī che può voler dire in effetti "il profeta ignorante" ma anche, e più verosimilmente, "il profeta della comunità (araba)" o "il profeta di una cultura non basata su testi sacri scritti". Altre fonti fanno notare come le personalità in grado di leggere e scrivere, nel periodo precedente all'Egira, fossero una quindicina, tutte conosciute per nome,[14] e in effetti il Corano sarebbe il più antico libro arabo in prosa.[15] Studiosi occidentali fanno notare come le tribù nomadi, compresa quella di Muhammad, disprezzassero la scrittura, privilegiando la trasmissione orale delle conoscenze.[16] La maggior parte dei musulmani propende per un analfabetismo del loro Profeta, escludendo pertanto radicalmente che egli abbia potuto leggere la Bibbia o altri testi sacri, che del resto sarebbero comparsi in forma scritta solo diverso tempo dopo la sua morte.[17][18]

Muhammad cominciò dunque a predicare la Rivelazione che gli trasmetteva Jibrīl, ma i convertiti nella sua città natale furono pochissimi per i numerosi anni che egli ancora trascorse a Mecca. Fra essi il suo amico intimo e coetaneo Abu Bakr (destinato a succedergli come califfo, guida della comunità islamica che si fondò con lenta ma sicura progressione malgrado l'assenza di precise indicazioni scritte e orali in merito) e un gruppetto assai ristretto di persone che sarebbero stati i suoi più validi collaboratori: i cosiddetti "Dieci Benedetti" (al-ʿashara al-mubashshara).

La Rivelazione da lui espressa dunque - raccolta dopo la sua morte nel Corano, il libro sacro dell'Islam - dimostrò la validità del detto evangelico per cui "nessuno è profeta in patria". Muhammad ripeté per ben due volte per intero il Corano nei suoi ultimi due anni di vita e molti musulmani lo memorizzarono per intero ma fu solo il terzo califfo ʿUthmān b. ʿAffān a farlo mettere per iscritto da una commissione coordinata da Zayd b. Thābit, segretario del Profeta. Così il testo accettato del Corano poté diffondersi nel mondo a seguito delle prime conquiste che portarono gli eserciti di Medina in Africa, Asia ed Europa, rimanendo inalterato fino ad oggi, malgrado lo Sciismo vi aggiunga un capitolo (Sura) e alcuni brevi versetti (ayat).

Gli ultimi anni a Mecca e l'Egira

Nel 619, l'"anno del dolore", morirono tanto suo zio Abu Talib, che gli aveva garantito affetto e protezione malgrado non si fosse convertito alla religione del nipote, quanto l'amata Khadìja. Fu solo dopo ripetute insistenze che Muhammad contrasse nuove nozze, tra cui quelle con ʿĀʾisha bt. Abī Bakr, figlia del suo più intimo amico e collaboratore, Abu Bakr.

L'ostilità dei suoi concittadini tentò di esprimersi con un prolungato boicottaggio nei confronti di Muhammad e del suo clan, con il divieto di intrattenere con costoro rapporti di tipo economico commerciale, i troppi vincoli parentali creatisi però fra i clan della stessa tribù fecero fallire il progetto di ridurre a più miti consigli Muhammad.

Nel 622 il crescente malumore dei Quraysh nel veder danneggiati i propri interessi - a causa dell'inevitabile conflitto ideologico e spirituale che si sarebbe radicato con gli altri arabi politeisti (che con loro proficuamente commerciavano e che annualmente partecipavano ai riti della ʿumra del mese di rajab) - lo indusse a rifugiarsi con la sua settantina di correligionari, a Yathrib, trecentoquaranta chilometri più a nord di Mecca, che mutò presto il proprio nome in Madīnat al-Nabī, "la Città del Profeta" (Medina). Il 622, l'anno dell'Egira (emigrazione), divenne poi sotto il califfo 'Omar ibn al-Khattàb il primo anno del calendario islamico, utile alla tenuta dei registri fiscali e dell'amministrazione in genere.

La Umma e l'inizio dei conflitti armati

Inizialmente Muhammad si ritenne un profeta inserito nel solco profetico antico-testamentario, ma la comunità ebraica di Medina non lo accettò come tale. Nonostante ciò, Muhammad predicò a Medina per otto anni e qui, fin dal suo primo anno di permanenza, formulò la Costituzione di Medina (Rescritto o Statuto o Carta, in arabo Ṣaḥīfa) che fu accettata da tutte le componenti della città-oasi e che vide il sorgere della Umma, la prima Comunità politica di credenti.

Nello stesso tempo, con i suoi seguaci, condusse attacchi contro le carovane dei Meccani e respinse i loro contrattacchi. L'ostilità di Muhammad nei confronti dei suoi concittadini si concretizzò nel primo vittorioso scontro armato ai pozzi di Badr, alla successiva disfatta di Uḥud e alla finale vittoria strategica di Medina (Battaglia del Fossato) contro i politeisti Quraysh che lo avevano inutilmente assediato.

L'atteggiamento verso gli ebrei

In tutte queste circostanze Muhammad colpì in diversa misura anche gli ebrei di Medina, che si erano resi colpevoli agli occhi della Umma della violazione del Rescritto di Medina e di tradimento nei confronti della componente islamica. In occasione dei due primi fatti d'armi furono esiliate le tribù ebraiche dei Banū Qaynuqāʿ e dei Banū Naḍīr, mentre dopo la vittoria nella cosiddetta "battaglia" del Fossato (Yawm al-Khandaq), i musulmani decapitarono tra i 700 e i 900 uomini ebrei della tribù dei Banū Qurayza, arresasi ai seguaci del Profeta in conseguenza del fallimento dell'assedio dei Quraysh e dei loro alleati arabi, protrattosi per 25 giorni. Le loro donne e i loro bambini furono invece venduti come schiavi[19][20] sui mercati d'uomini di Siria e del Najd, dove vennero quasi tutti riscattati dai loro correligionari di Khaybar, Fadak e di altre oasi arabe higiazene.[21]

La cruenta decisione fu probabilmente la conseguenza dell’accusa di intelligenza col nemico durante l’assedio[22] ma la sentenza non fu decisa da Muhammad che invece affidò il responso sulla punizione da adottare a Saʿd b. Muʿādh, sayyid dei Banū ʿAbd al-Ashhal, clan della tribù medinese dei Banu Aws e un tempo principale alleato dei B. Qurayẓa. Questi, ferito gravemente da una freccia (tanto da morirne pochissimi giorni più tardi) e ovviamente pieno di rabbia e rancore, decise per quella soluzione estrema, non frequente ma neppure del tutto inconsueta per l'epoca.[23] Che non si trattasse comunque di una decisione da leggere in chiave esclusivamente anti-ebraica potrebbe dimostrarcelo il fatto che gli altri B. Qurayẓa che vivevano intorno a Medina,[24] e nel resto del Ḥijāz (circa 25.000 persone), non furono infastiditi dai musulmani, né allora, né in seguito.[25] In proposito si è anche espresso uno dei più apprezzati storici del primo Islam, Fred McGrew Donner, che, nel suo Muhammad and the believers (Cambridge, MA, The Belknap Press of Harvard University Press, 2010, p. 74), afferma

« dobbiamo... concludere che gli scontri con altri ebrei o gruppi di ebrei furono il risultato di particolari atteggiamenti o comportamenti politici di costoro, come, per esempio, il rifiuto di accettare la leadership o il rango di profeta di Muhammad. Questi episodi non possono pertanto essere considerati prove di un'ostilità generalizzata nei confronti degli ebrei da parte del movimento dei Credenti, così come non si può concludere che Muhammad nutrisse un'ostilità generalizzata nei confronti dei Quraysh perché fece mettere a morte e punì alcuni suoi persecutori appartenenti a questa tribù. »

Fred M. Donner, Maometto e le origini dell'islam, ediz. e trad. di R. Tottoli, Torino, Einaudi, 2011, p. 76-77

Una minoranza di studiosi musulmani rifiutano di riconoscere l'incidente ritenendo che Ibn Ishaq, il primo biografo di Muhammad, abbia presumibilmente raccolto molti dettagli dello scontro dai discendenti degli stessi ebrei Qurayza. Questi discendenti avrebbero arricchito o inventato dettagli dell'incidente prendendo ispirazione dalla storia delle persecuzioni ebraiche in epoca romana.[26]

La conquista dell'Arabia e la morte

Nel 630 Muhammad era ormai abbastanza forte per marciare su Mecca e conquistarla. Tornò peraltro a vivere a Medina e da qui ampliò la sua azione politica e religiosa a tutto il resto del Hijaz e, dopo la sua vittoria nel 630 a Ḥunayn contro l'alleanza che s'imperniava sulla tribù dei Banū Hawāzin, con una serie di operazioni militari nel cosiddetto Wadi al-qura, a 150 chilometri a settentrione di Medina, conquistò o semplicemente assoggettò vari centri abitati (spesso oasi), come Khaybar, Tabūk e Fadak, il cui controllo aveva indubbie valenze economiche e strategiche.

Due anni dopo Muhammad morì a Medina, dopo aver compiuto il Pellegrinaggio detto anche il "Pellegrinaggio dell'Addio", senza indicare esplicitamente chi dovesse succedergli alla guida politica della Umma. Lasciava nove vedove - tra cui ʿĀʾisha bt. Abī Bakr - e una sola figlia vivente, Fāṭima, andata sposa al cugino del profeta, ʿAlī b. Abī Ṭālib, madre dei suoi nipoti al-Ḥasan b. ʿAlī e al-Ḥusayn b. ʿAlī. Fatima, piegata dal dolore della perdita del padre e logorata da una vita di sofferenze e fatiche, morì sei mesi più tardi, diventando in breve una delle figure più rappresentative e venerate della religione islamica.

Origine del nome

"Maometto" è la volgarizzazione italiana fatta in età medievale del nome "Muḥammad", utile semplificazione della pronuncia. La parola araba "muḥammad", che significa "grandemente lodato", è infatti un participio passivo di II forma (intensiva) della radice [h-m-d] (lodare).

La dimostrazione più lampante di ciò sta nell'opera, successiva al 726, di Giovanni Damasceno, il De haeresibus (Περὶ αἱρέσεων, "Perì hairéseōn"), dove il suo nome in greco è "Mάμεδ" (Mámed)[27] o anche Mαμὲδ" (Mamèd)[28] o il più significativo "Μωάμεθ",[29] che suona "Mōámeth", con ogni evidenza assai simile al posteriore "Maometto".
Un riferimento a lui è il Mḥmt (ṭayyāyē d-Mḥmt, ossia "gli Arabi nomadi di Maometto") leggibile nella Cronaca siriaca di Tommaso il Presbitero, attivo in Mesopotamia, che verso il 640 scriveva:

« Nell'anno 945, indizione 7, di venerdì 4 febbraio (634) all'ora nona, vi fu una battaglia tra i Romani [i.e. i Bizantini] e gli Arabi di Muḥammad »

Robert G. Hoyland, "Earliest Christian Writings on Muḥammad", in: Harald Motzki (ed.), The Biography of Muḥammad - The Issue of the Sources, Leida-Boston Brill, 2000, pp. 276-297, a p. 278

o il nome Mḥmṭ che compare nell'anonima Cronaca siriaca detta, per il monastero in cui fu redatta e conservata, di Zuqnin (Robert G. Hoyland, cit., p. 279, che ha trovato un preciso riferimento nel § 13 della Continuatio Byzantia Arabica, così detta in quanto costituiva una prosecuzione dell'opera di Giovanni di Biclar).

Secondo lo studioso francese Michel Masson[30], invece, nelle lingue romanze, e tra queste l'italiano, si osserva una storpiatura del nome del profeta in senso spregiativo (e da ciò deriverebbero, a suo dire, il francese Mahomet e l'italiano Macometto). Allo stesso modo si esprimono alcuni scrittori italiani[31] che ritengono che il nome "Maometto" non sarebbe di diretta origine araba, ma "un'italianizzazione" adottata all'epoca per costituire una sintesi dell'espressione spregiativa di "Mal Commetto"[32], volta a conferire una connotazione negativa al Profeta dell'Islam.

Ben diversamente, sulla derivazione di tali varianti dal nome arabo, si esprime Georges S. Colin,[33] che osservava come questo tipo di adattamento fonetico trovasse una spiegazione in un passaggio della sintesi fornita da Ibn ʿArḍūn del suo trattato sul matrimonio, intitolato Muqniʿ al-Muḥtāj fī adāb al-zawāj, in cui avvertiva dell'uso che, nel dare al neonato il nome venerato di Muhammad, lo si «sfigurasse con una vocalizzazione della prima consonante mīm in a e della consonante ḥā in u» tanto che - notava Colin - nel XIV secolo i Berberi Ghumāra avevano l'abitudine d'impiegare la forma *Maḥummad e *Maḥommad (facilmente trasformabili in Mahoma nell'ambiente nordafricano, che aveva stretti e secolari vincoli con il bilād al-Andalus). Così facendo, sosteneva Colin, si evitava il rischio che il bambino che portava lo stesso nome del Profeta, mostrasse sciaguratamente nel crescere scarse qualità o addirittura veri e propri difetti caratteriali, tali da invalidare la baraka (benedizione) che s'accompagnava al nome "Muḥammad". Colin commentava come anche i Cinesi seguissero la stessa logica, impiegando «rovesciati (renversés) alcuni caratteri dichiarati tabù».

Come risulta da una lettera inviata nel 1141 dall'abate Pietro di Cluny, detto il Venerabile, a Bernardo di Chiaravalle, in occasione della traduzione di un "breve scritto apologetico arabo-cristiano, la Summula brevis contra haereses et sectam Saracenorum, sive Ismaelitarum, il nome "Muhammad" è reso fin da allora come "Machumet".[34]

« Mitto vobis, clarissime, novam translationem nostram, contra pessimam nequam Machumet haeresim disputantem... »

Del pari Ermanno di Carinzia (o Dalmata), in una sua traduzione, scriveva (su incarico di Pietro di Cluny, per una sua antologia sull'Islam, il De generatione Mahumet et nutritura ejus, che era la traduzione del Kitāb al-anwār (Libro delle luci) di Abū l-Ḥasan al-Bakrī, dimostrando come, a metà del XII secolo, il nome Maometto non traesse origine da alcuna espressione insultante o irridente proveniente da idiomi romanzi.

La cosa è confermata da Trude Ehlert,[35] che ricorda come una delle prime attestazioni nella più diffusa letteratura romanza del nome del profeta dell'Islam (basata su fonti arabe e sostanzialmente esente da valutazioni cristiane), figuri nell'opera L'eschiele Mahomet, una versione tradotta in antica lingua d'oil del Libro della Scala: genere letterario-religioso basato sulla storia dell'asserita ascesi di Maometto attraverso i sette cieli,[36] composta poco dopo il 1264. Varrà la pena ricordare come il Libro della Scala, elaborato prima del 1264, sia una traduzione (perduta) della Escala de Mahoma, redatto in antico volgare castigliano tra il 1260 e il 1264. In nessuno di questi casi Mahomet o Mahoma appaiono ricollegabili a espressioni ingiuriose, come invece suggerirebbe il nome Malcometto usato da Rustichello nella sua trascrizione del resoconto di viaggio di Marco Polo alla fine del XIII secolo (1298, comunque in un anno successivo al 1295): oltre mezzo secolo quindi dopo le prime attestazioni in volgare castigliano e francese.[37]

Muhammad secondo i non musulmani

Dopo un protratto periodo di indifferenza nei confronti dell'Islam, superficialmente equivocato dalla Cristianità occidentale e orientale, come una delle tante eresie del Cristianesimo[38][39] nelle dispute con cristiani, questi ultimi sottolinearono sovente il carattere sincretistico della religione di Muhammad, basata allo stesso tempo su tradizioni arabe preislamiche (come il culto della Pietra Nera della Mecca) e su tradizioni cristiane siriache ed ebraiche, e mossero critiche alla personalità di Muhammad, alla formazione e trasmissione del testo coranico e alla diffusione dell'islam attraverso la spada.[40]

Nell'Occidente medievale Muhammad fu considerato per oltre cinque secoli un cristiano eretico. Dante Alighieri - non consapevole del profondo grado di diversità teologica della fede predicata da Muhammad, per l'influenza su di lui esercitata dal suo Maestro Brunetto Latini, che riteneva Muhammad un chierico cristiano di nome Pelagio, appartenente al casato romano dei Colonna[41] - lo cita nel canto XXVIII dell'Inferno tra i seminatori di scandalo e di scisma nella Divina Commedia assieme ad Ali ibn Abi Tàlib, suo cugino-genero, coerentemente con quanto da lui già scritto ai versetti 70-73 del canto VIII dell'Inferno: ...«Maestro, già le sue meschite / là entro certe ne la valle cerno, / vermiglie come se di foco uscite / fossero... in cui le "meschite" (evidente deformazione della parola del volgare castigliano mezquita, derivante dall'arabo masjid, che significa moschea) della città di Dite sono le "vermiglie" abitazioni della città dannata ove dimorano gli eresiarchi cristiani.

È questo (e non altro) il motivo per cui nella basilica di San Petronio a Bologna, in un celebre affresco, Muhammad fu raffigurato all'inferno, secondo la descrizione di Dante, con il ventre squarciato, come spaccata era la comunità cristiana a causa dei suoi vari scismi.

Il motivo per cui Dante lo colloca tra i seminatori di discordie e non tra gli eresiarchi è probabilmente dovuto a una leggenda medievale che parla di Muhammad come vescovo e cardinale cristiano, che poi avrebbe rinnegato la propria fede, deluso per non aver raggiunto il papato o per altra ragione e avrebbe creato una nuova religione «mescolando quella di Moisè con quella di Cristo».[42]

Secondo una tradizione diffusa tra i musulmani, il Negus di Abissinia - che ospitò gli esiliati musulmani quando Muhammad era in vita - avrebbe attestato la sua fede in lui come profeta di Dio.

Famiglia

Muhammad ebbe i seguenti 7 figli (tutti premorti al padre, con l'eccezione di Fāṭima al-Zahrāʾ):

Muhammad ebbe le seguenti 13 mogli:

Pur avendole sposate, non ebbe rapporti coniugali con Asmāʾ bt. al-Nuʿmān (malata di lebbra) e ʿAmra bt. Yazīd che dimostrò immediatamente tutta la sua ostilità per tale unione, ottenendo così di venir subito ripudiata e di tornare tra la sua gente (i B. Kilāb).

La moglie più importante per Muhammad fu comunque Khadīja che aveva sposato prima della "Rivelazione" e che per prima aderì alla religione islamica. Fu anche un forte sostegno economico, e ancor più morale, soprattutto di fronte alle angherie dei notabili pagani della città ostili al marito. Da lei Muhammad ebbe quattro figlie femmine (Zaynab, Ruqayya, Umm Kulthūm e Fāṭima) e due maschi (al-Qāsim e ʿAbd Allāh, detto anche Ṭāhir e Ṭayyib). Da Māriya la Copta ebbe invece Ibrāhīm.

Secondo l'Islam non è possibile avere più di quattro mogli. In virtù della rivelazione divina di un versetto del Corano fu consentito a Muhammad di superare questo limite, ed alcuni dei suoi matrimoni furono contratti per sanzionare alleanze o conversioni di gruppi arabi pagani, dal momento che gli usi del tempo prevedevano che si contraesse un vincolo coniugale fra le parti per rafforzare un importante accordo che s'intendeva concludere.

Muhammad ebbe anche sedici concubine ma solo dalla sua schiava, che sposò, la copta Māriya, ebbe un figlio: Ibrāhīm, deceduto a otto mesi con grande dolore dello stesso Muhammad che poco tempo dopo, morendo fra le braccia di ʿĀʾisha, lo raggiunse nella tomba.

Fra le mogli sposate successivamente la più importante (malgrado non gli desse figli) fu ʿĀʾisha, figlia di Abū Bakr, nata verso il 614. Secondo numerose attestazioni di diversi ḥadīth ella aveva 6 anni in occasione del suo matrimonio formale e 9 anni al momento della prima consumazione[44] e fu con lui fino alla sua morte nel 632, mentre secondo qualche altro ḥadīth ʿAʾisha aveva 7 anni quando contrasse il matrimonio e 10 quando lo consumò. Il Profeta la sposò dopo un ordine divino ricevuto dall'arcangelo Gabriele. La questione dell'età di ʿĀʾisha costituisce un problema particolare, per documentate contraddizioni storiche[45] ignorate dai succitati ḥadīth, oltre a considerazioni di tipo metodologico che impediscono l'applicazione all'età moderna di categorie valide nei tempi più antichi (cioè come oggi è normale sposare ragazze maggiorenni, maggiori di 18 anni, purtroppo in quei tempi sposare ragazze di 10 anni era normale).

Note

  1. Muḥàmmad - participio passivo di II forma (ovverosia intensiva) della radice <h-m-d>, che significa "lodare" - è reso in italiano col nome Maometto, in base a un'antica volgarizzazione risalente al Medioevo. Una parte del mondo musulmano, in Italia e nel resto del mondo, pretenderebbe in segno di rispetto l'uso dell'originale nome Muhàmmad e considera che 'Maometto', e adattamenti similari, costituiscano distorsioni inaccettabili da rifuggire. Non sembra però tenersi nel debito conto la realtà espressa in vari ambiti islamici non arabofoni - come ad esempio, fin dall'età ottomana, il mondo turcofono - in cui l'onomastica araba è stata comprensibilmente adattata alle specifiche realtà linguistiche locali. Talché il nome Mehmet non ha mai sollevato alcuna perplessità tra i dotti musulmani di quella e di altre parti del mondo islamico. Non ha dunque alcun motivo logico di esistere la suscettibilità di quanti non accettano l'uso delle varianti locali del nome del profeta dell'Islam.
  2. Il più antico biografo di Muhammad, Ibn Isḥāq, scrive nella sua al-Sīra al-nabawiyya che il profeta sarebbe nato il lunedì 12 rabīʿ I dell'Anno dell'elefante. Tabari invece si limita a indicare l'Anno dell'elefante, senza fornire il giorno e il mese, ma ricorda la tradizione di Hishām b. Muhammad al-Kalbī secondo cui Muhammad era nato nel "quarantaduesimo anno del regno di Kisra Anūsharwān, vale a dire nel 573.
  3. Dall'opinione della maggioranza dei tradizionisti, che fissa a 63 anni l'arco di vita di Muhammad, si è dedotta la sua data di nascita, altrimenti indicata con la semplice espressione "Anno dell'elefante". Tuttavia esistono tradizioni difformi, per quanto decisamente minoritarie, che indicano in 60 o 65 gli anni vissuti dal Profeta dell'Islam. Cfr. Tabari, Taʾrīkh al-rusul wa l-mulūk, 1835-1836, che cita in proposito ʿAmr b. Dīnār (60 anni) e Ibn ʿAbbās (65).
  4. Vite antiche di Maometto, a cura di Michael Lacker. Testi scelti e tradotti da Roberto Tottoli, Milano, Mondadori 2007.
  5. Corano, 3:95
  6. Esposito, Islam, Extended Edition, Oxford University Press, pp. 5–7
  7. Louis Jacobs (1995), p. 272
  8. Turner (2005), p. 16
  9. Kochler (1982), p. 29
  10. cf. Uri Rubin (1990), «Ḥanīfiyya...»
  11. Si veda Leone Caetani, Annali dell'Islām, I, pp. 159-162, §§ 134-136.
  12. L'altro è al-Raḥmān (lett. "Il Misericordioso").
  13. Sura 96:1-5. Salvo l'imperativo iniziale, si è seguita la versione de Il Corano, introd., trad. e commento di Alessandro Bausani, Firenze, Sansoni, 1961 e succ. ediz. La traduzione bausaniana riporta "Grida", malgrado iqrāʾ significhi più propriamente "recita salmodiando" pur essendo logico che per poter recitare si debba preliminarmente leggere, non essendo noto il contenuto del brano da recitare).
  14. H.R. Gibbs e J. H. Kramers, The shorter Encyclopaedia of Islam, Leiden, 1935, p. 370
  15. R. A. Nicholson, A Literary History of the Arabs, Cambridge, 1962, p. 125
  16. Bryan S. Turner, Reading in Orientalism, Volume I, p. 35.
  17. “The oldest dated manuscript containing the Gospels in Arabic is Sinai Arabic MS 72. Here the text of the four canonical Gospels is marked off according to the lessons of the temporal cycle of the Greek liturgical calendar of the Jerusalem Church. A colophon informs us that the MS was written by Stephen of Ramleh in the year 284 of the Arabs, i.e., 897 AD.” (Sidney H Griffith, The Gospel in Arabic: An Enquiry into Its Appearance in the First Abbasid Century, Oriens Christianus, Volume 69, p. 131-132.)
  18. The scripture of the people of the book Sidney H. Griffith, Princeton University
  19. ^ Peterson (2007), p. 126.
  20. Ramadan (2007), p. 141.
  21. M.J. Kister, "The massacre of Banu Qurayza: a re-examination of a tradition", in: Jerusalem Studies in Arabic and Islam 8 (1986), pp. 61-96, a p. 94.
  22. M.J. Kister, art. cit., pp. 86-87.
  23. Si ricorderà il massacro dei cristiani di Najran disposto dal tubbaʿ giudaizzato di Himyar, Dhū Nuwās.
  24. al-Wāqidī, Kitāb al-maghāzī, ed. Marsden Jones, 2 voll. Londra, 1966, II, pp. 634 e 684, parla ad esempio della presenza a Medina di ebrei dopo il Giorno del Fossato.
  25. Claudio Lo Jacono, Maometto, Roma-Bari, Editori Laterza, 2011, p. 116.
  26. W. N. Arafat, "Did Prophet Muhammad ordered 900 Jews killed?", Journal of the Royal Asiatic Society of Great Britain and Ireland(JRAS), pp. 100-107, 1976
  27. S. Joannis Damasceni, De haeresibus, ed. Jacques Paul Migne, Patrologia Greca, voll. 94-95, 765.
  28. Ibidem.
  29. Codex Colbertino 4753, Migne, Patrologia Greca, CXXXIX, 1099.
  30. Professore emerito di "Linguistica semitica" presso l'Université Paris 3-Sorbonne Nouvelle: Cfr. qui [1]
  31. Magdi Allam, ad esempio, che pur non essendo uno specialista di linguistica e di etimologie, ha espresso fermamente la sua convinzione circa l'accezione semantica negativa del nome "Maometto" nel suo Bin Laden in Italia: viaggio nell'islam radicale (Milano, Mondadori, 2002, p. 210).
  32. Cfr. ad esempio Marco Polo nel Milione (redazione toscana):
    « Mossul è un grande reame, ove è molte generazioni di genti, le quali vi conterò incontenente. E v'à una gente che si chiamano arabi, ch'adorano Malcometto;... »
    Milione, 23 Reso nello stesso testo redatto in origine in langue d'oïl (franco-italiano) Le divisament dou monde:
    « Mosul est un grant roiames qui l'habitant plusors jeneration de jens les quelç deiveserai orendroit. Il (a) une jens ki est apellé Arabi que orent Maomet;... »
    Le divisament dou monde 24
  33. "Note sur l'origine du nom de «Mahomet»", in: Hespéris (Archives berbères et Bulletin de l'Institut des Hautes-Études marocaines), 1925, I, p. 129.
  34. Ugo Monneret de Villard, Lo studio dell'Islām in Europa nel XII e nel XIII secolo, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1944, pp. 18-19.
  35. Lemma «Muḥammad» pubblicato sull'Encyclopaedia of Islam.
  36. Si veda Isrāʾ e Miʿrāj).
  37. Più di recente si veda anche Claudio Lo Jacono, Storia del mondo islamico - Il Vicino Oriente, Torino, Einaudi, 2003, p. 3, nota 3.
  38. Aldobrandino Malvezzi, L'Islamismo e la cultura europea, Firenze, Sansoni, 1956, p. 75.
  39. T. Khoury, "Byzantine Views of Islam", su: Dumbarton Oaks Papers, Vol. 18 (1964), pp. 113-132, a p. 116 scaricabile da JSTOR.
  40. Vedi ad esempio l'apologia di al-Kindi, testo arabo cristiano del IX secolo e tradotta in latino a partire dal XII secolo (Apologia del cristianesimo, a cura di Laura Bottini, Milano, Jaca Book, 1987).
  41. Il Tesoro, I, 88.
  42. Template:Cita libro
  43. Musʿab b. ʿAbd Allāh al-Zubayrī, Kitāb nasab Quraysh (Il libro genealogico dei Quraysh), p. 21. L'Autore specifica che la giovane era stata donata a Muhammad dal Patriarca di Alessandria, Muqawqis (che nelle fonti non arabe è però correttamente chiamato Kyros/Ciro).
  44. Ṣaḥīḥ di Bukhari, Vol. 5, Libro 58, numeri 234 [2] e 236 [3], Volume 7, Libro 62, Numeri 64 [4], 65 [5] e 88 [6]), Ṣaḥīḥ di Muslim, Libro 8, Numeri 3309 [7], 3310 [8] e 3311 [9]), Sunan di Abu Dawud al-Sijistani, Vol. 2, n. 2116, Libro 41, n. 4915 [10], 4916 [11] e 4917 [12], Sunan di Nasāʾī, 1, # 18, p. 108, Sunan di Ibn Māja, 3:1876, p. 133 e 3:1877 p. 134, al-Tabari, Taʾrīkh al-rusul wa l-mulūk, vol. 9, pp. 129-131 e vol. 7, p. 7 dell'edizione curata da Ihsān ʿAbbās per la SUNY Press di Albany (NY), Mishkat al-masabīh, Vol. 2, p. 77.
  45. Il riferimento è alla prima, e tuttora più autorevole, biografia di Muhammad: quella di Ibn Isḥāq, mantenuta da Ibn Hishām, che certifica con precisione la nascita di ʿĀʾisha «nella jāhiliyya», vale a dire a una data comunque precedente all'avvio della Rivelazione coranica del 610.

Bibliografia

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Voci correlate

Collegamenti esterni

http://www.treccani.it/enciclopedia/maometto/

http://www.sapere.it/enciclopedia/Maom%C3%A9tto.html

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